Archive for gennaio, 2010

L’albero genealogico

Penso che, per lo studio della matematica, la capacità di trovare relazioni tra più parti sia indispensabile. Creare l’albero genealogico richiede in maniera diretta questa abilità ma con la facilitazione che le parti da relazionare non sono freddi numeri ma persone di famiglia.  In questo modo il bambino può sfruttare un aspetto affettivo per comprendere il senso delle relazioni e di astrazione.

Fare il mio albero genealogico mi ha fatto prendere coscienza di questa possibilità didattica molto semplice ma efficace.

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Matematica:se la conosci non la eviti

Penso che le mie difficoltà, come quelle di molti altri, nello studio della matematica sia proprio di non riuscire a comprenderne lo scopo.

I pregiudizzi verso questa materia che da subito ti circondano impediscono di affrontarla nel migliore dei modi.

Se si pensa, infatti, alla matematica come ad un pentolone dove in modo più o meno comprensibile finiscono i numeri, si perde quella che è il vero scopo di questa scienza che altro non è che la comprensione di tutto ciò che ci circonda.

E’ il “non sapere” che genera  inquietudine e paura; e non conoscere lo scopo per il quale si affronta una difficoltà genera anche sconforto nel momento in cui ci si devono spendere energie intellettuali per affrontarla.

La conoscenza della finalità,invece,  genera la motivazione allo studio e credo che sia questa la chiave per poter aprire il mondo della matematica ai nuovi studenti.

Questo esame coglie in pieno questo concetto e mi ha aiutato a cancellare certi pregiudizi che avevo nei confronti della matematica e soprattutto con il computer.

 

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Cari vecchi regoli…

 

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Ricordo con particolare piacere questo materiale didattico che mi è servito per iniziare a matematizzare e a prendere coscienza di cosa fossero i numeri.Conservo ancora con affetto la mia scatolina di regoli… 

Questo materiale offre al bambino una situazione strutturata in cui è per lui comparativamente facile scoprire da sé molte relazioni matematiche.

 Dapprima il bambino gioca liberamente con i regoli, poi viene  invitato ad associare un colore con una lunghezza, poi a confrontare una lunghezza/colore con altre diverse. 

Il bambino impara così ad associare un simbolo ad un gruppo di oggetti ed a scriverne il simbolo. Prende coscienza del significato di “più”, “ meno”, “ è uguale a “  e sa usare i segni corretti per queste parole.

In un successivo momento il bambino usa i regoli per compiere delle operazioni aritmetiche e annotare per iscritto tali operazioni.

Così le operazioni addizione e sottrazione vengono capite ed i risultati vengono imparati. …Inol­tre, i concetti di numero e delle operazioni aritmetiche che il fanciullo si forma, sono dovuti a ciò che fa tanto quanto a ciò che vede.

 

Penso che questo sia un esempio di come possa diventare piacevole iniziare a conoscere la matematica prorpio per l’ esperienza diretta che viene offerta ai bambini di toccare e giocare con i numeri

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Matematica: il codice della natura

La matematica è un’ostentazione della pura ragione; uno dei pochi lussi oggi ancora possibili. Anche i filologi si dedicano spesso ad attività nelle quali essi per primi non intravedono il minimo utile, e i collezionisti di francobolli o di cravatte ancora peggio. Ma questi sono passatempi inoffensivi, ben lontani dalle cose serie della vita. La matematica, invece, proprio in esse abbraccia alcune delle avventure più appassionanti e incisive dell’esistenza umana. Un piccolo esempio:  si può dire che in pratica tutta la nostra vita dipenda dai risultati di questa scienza, a essa ormai piuttosto indifferenti. Grazie alla matematica cuociamo il nostro pane, costruiamo le nostre case e facciamo andare avanti i nostri mezzi di locomozione. Prescindendo dai pochi mobili, dagli abiti e dalle calzature fatte a mano, nonché dai bambini, tutto ciò che abbiamo è ottenuto attraverso calcoli matematici. Tutto ciò che esiste intorno a noi, che si muove, corre o se ne sta immobile, non soltanto sarebbe incomprensibile senza la matematica ma è effettivamente nato dalla matematica, e ne è sostenuto nella realtà concreta della propria esistenza.

Sono molte le attività a cui gli uomini si dedicano senza fini particolari se non il puro piacere.
Nell’immaginario collettivo, la matematica, come “ostentazione della pura ratio”, risulta ben lontana da simili “passatempi” e raramente è associata ad essi. Chi prova diletto nella ricerca matematica, chi dedica la vita a investigare nessi e risultati apparentemente del tutto inutili, chi si emoziona anche per un teorema incomprensibile, non può essere – secondo i più – troppo “normale”!
Pochi, io compresa prima di affrontare questo esame, vedono la matematica per quello che è, ma sono convinta che molti altri, se solo si lasciassero avvicinare, riuscirebbero a guardare con occhi del tutto diversi il mondo che li circonda. Credo che non apparirebbe asettico, triste o meccanico, ma forse sembrerebbe ancor più incredibile, poetico e perfetto!

I fiori per esempio, chi non li trova così straordinariamente belli? Chi conosce la successione di Fibonacci sa che per lo più essi hanno un numero di petali pari a un elemento della successione: molti fiori hanno cinque petali, alcuni ne hanno solo tre, altri otto o tredici; le margherite tendono ad averne ventuno o trentaquattro e i girasoli cinquantacinque.

 Invece la struttura della conchiglia di un nautilus, un particolare mollusco, rispetta quella della spirale aurea… Fiori e conchiglie non diventano più belli se sappiamo tutto questo, ma noi diventiamo più consapevoli e continuiamo a cercare…

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Gioco quindi sono!

    

Il gioco a scuola

    

Quanto si gioca a scuola? Poco, pochissimo. Spesso le lezioni procedono stancamente e nonostante gli sforzi degli insegnanti, studenti e alunni vivacchiano sbadigliando, non partecipano, si annoiano. Di chi è la colpa? Di professori e maestri troppo pedanti? Dei ragazzi svogliati? Oppure di una didattica indietro con i tempi e soprattutto poco giocosa? Quest’ultima è una domanda retorica con una risposta già implicita: sì, a scuola si gioca poco. Eppure psicologi, psicopedagogisti e sociologi da secoli continuano a predicare una maggiore applicazione dell’attività ludica nell’apprendimento.   

Gioco quindi sono 


   

Provate ad andare a rileggere i manuali di filosofia e di storia dell’educazione, rimarrete sorpresi dalla presenza del gioco nell’educazione. Ne discutevano i Presocratici, ne parlava Platone, convinto della sua importanza, e Aristotele. Lo consigliava Quintiliano e persino nei secoli più bui del primo Medioevo, l’attività ludica veniva guardata con grande interesse. Per non parlare poi del Rinascimento e di Filippo Neri con il suo oratorio molto orientato agli interessi dei bambini e quindi al gioco.
Per arrivare, saltando secoli e dimenticando decine di grandi pensatori, fino a Johan Huizinga che, con Homo ludens, dimostrò che l’uomo è un animale giocoso e che tutto il suo mondo ha carattere ludico.
Giocare quindi per essere, per mettere a frutto le proprie potenzialità in un ambiente privo dai rischi del reale. Molti etologi hanno studiato l’importanza del gioco nei primati. Per anni hanno osservato il comportamento dei leoni e dei gorilla e si sono accorti che i cuccioli incapaci o impossibilitati a giocare restano immaturi e da adulti non sono capaci di affrontare le insidie della natura. Quindi sono destinati a morire.
Il gioco nei primati è, infatti, una sorta di allenamento, di prova generale per affrontare la realtà. Il piccolo leone gioca con la coda della mamma. Poi la leonessa offre al cucciolo una piccola preda tramortita. Infine lo invita con sé a caccia. Il piccolo impara, tranquillo, senza stress. E un domani sarà capace di affrontare la vita reale, di cacciare ed evitare il pericolo.
 

Giocare per diventare grandi 

   

    

L’uomo non si discosta molto da questo modello di apprendimento naturale. Secondo alcuni studi effettuati negli Stati Uniti negli anni Sessanta, i bambini impossibilitati a giocare sono meno intelligenti, hanno poco senso pratico e avversione verso i propri simili. A Boston, dal 1965 al 1968, lo psicologo Levenstein e la sua équipe furono protagonisti di un progetto rivoluzionario. Una serie di ricercatori dell’università insegnarono a un gruppo di genitori dei sobborghi di Boston a giocare con i propri figli o comunque a incentivare la loro propensione al gioco. Il risultato fu sorprendente: i bambini che avevano partecipato al programma svilupparono un miglior adattamento e una migliore capacità di risolvere i problemi, anche di carattere intellettuale.   

Lo scatolone giocoso

Il computer di oggi, quello multimediale, ha una natura ludica. Suona, fa scorrere immagini, consente di creare mondi come se si plasmasse dell’argilla fatta di bit (è quella che viene chiamata manipolazione cognitiva), si trasforma in un teatrino, oppure in un telefono, e ancora in un bosco da esplorare. E’ così giocoso, il computer, che i bambini riescono ad adattarvisi in modo naturale. A volte restiamo impressionati dalle capacità di un piccolo di 3 o 4 anni di muovere il mouse o il joystick ed entrare in sintonia con le macchine. E tutto ciò nonostante la assoluta inadeguatezza di dispositivi come tastiera e mouse, interfacce estremamente innaturali.
   

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“Quel genio del mio amico…”

Quando ho saputo di dover effettuare un’ intervista ad un “genio della porta accanto” in matematica non ho avuto dubbi su chi intervistare.

Federico è un mio caro amico laureato in ingegneria informatica presso il Politecnico di Milano e nella sua carriera scolastica si è sempre distinto per gli ottimi voti ottenuti. Ormai da un anno vive a New York perchè è stato assunto presso una nota azienda di software ma per le festività natalizie è ritornato in Italia e l’intervista è stata anche un’occasione per poterci rivedere e trascorrere un po’ di tempo insieme.

Ha accolto con molto piacere la mia intervista prima di tutto perchè gli piace sentirsi chiamare “genio”…ma anche perchè è stato un modo per far riaffiorare dei bei momenti della sua infanzia legati alla scuola.

Io sono fiera di potervi presentare un ragazzo un poco introverso ma davvero geniale.

intervista al genio della porta accanto Ing. Federico Fontanella

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